Un possibile modello alternativo di public procurement
DOI:
https://doi.org/10.1400/286996Abstract
Il controllo della spesa pubblica ha assunto sempre maggior rilievo nel panorama politico-istituzionale, nell’ambito delle politiche di new public management, con specifico riferimento al perseguimento dei saldi di finanza pubblica e dell’equilibrio di bilancio. Da ormai diversi decenni, le istanze di contenimento e di razionalizzazione della spesa hanno trovato espressione nelle strategie di public procurement, ovvero nei processi mediante cui la Pubblica Amministrazione (PA), presente sul territorio con differenti livelli di autonomia, può acquistare opere, forniture e servizi. Per la legge italiana e, nello specifico, per il codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 50 del 18.04.2016), la PA aggiudicatrice e gli altri soggetti di diritto pubblico che affidano appalti pubblici di lavori, forniture o servizi, ovvero agiscono come concessionari di lavori pubblici o di servizi, sono definiti stazioni appaltanti o centrali di acquisto. Tali soggetti sono stati interessati da numerosi interventi legislativi, volti a razionalizzare, e conseguentemente a ridurre, sia i costi dei beni e dei servizi acquistati sul mercato, sia i costi di gestione dei rispettivi apparati amministrativi. In particolare, la «razionalizzazione» della spesa pubblica ha riguardato i costi sostenuti per i consumi intermedi, da intendersi come tutti i beni e servizi consumati o ulteriormente trasformati nel processo produttivo posto in essere dalla PA e ciò con l’obiettivo di «spendere meglio», assicurando un corretto rapporto tra risorse e risultati. Gli strumenti coordinati di razionalizzazione della spesa pubblica, tra cui la centralizzazione degli acquisti, si collocano in tale prospettiva e s’inseriscono nel quadro delle politiche di spending review.